Don
Gisberto D’Angelo 15 agosto
1916 – 20 giugno 1971
Parroco
a Colli dall’Agosto del 1953 fino alla sua morte. Per
quelli di una certa età come me Don Gisberto è il parroco
della propria giovinezza, dei primi Sacramenti e dei primi
allontanamenti dal credo religioso, seguiti da ritorni e nuovi
abbandoni. Lo ricordiamo con piacere per quel misto di
nostalgia degli anni lontani in cui eravamo più innocenti e
sognatori e per quel suo carattere impulsivo e
sanguigno, perfino popolaresco, espresso nei nostri confronti da
qualche scapaccione o qualche urlaccio rifilati senza problemi
al distratto o al somaro di turno quando si faceva il
catechismo. Adesso, con la maturità, c’è il piacere di tenerlo
ancora vicino, in una modestissima tomba nel nostro Cimitero,
proprio vicino alla cappella, in basso, quasi nella terra e
sempre illuminata dal sole, tra tante facce di brava
gente di Colli che gli tengono fedele compagnia. Sempre con
qualche fiore fresco, segno che la memoria dei più non è corta
come a volte crediamo. A farcelo scoprire in una luce del tutto
diversa, è arrivato l’incontro casuale con un modesto libricino
dal titolo “I fatti di Pozza”, sottotitolo “Cronache e documenti
della Resistenza acquasantana” , di Lucio Di Domenico,
recentemente ristampato dalla prima edizione del 1966. Il
libricino parla di quanto accadde dopo l’armistizio dell’8
settembre del 1943 in alcuni paesini sperduti della montagna di
Acquasanta, al confine con la provincia di Teramo: i nomi che
ricorrono sono quelli di Pozza, Pito, Umito e Acquasanta. Lo
sbandamento dell’esercito italiano dopo l’armistizio provoca la
diaspora di molti ex soldati che fuggono dalle caserme e
trovano rifugio tra le boscaglie della montagna – bosco Martese,
il Ceppo, le cime della Laga, - protetti da una popolazione
istintivamente avversa ai Tedeschi di cui teme la violenza e la
sete di vendetta dopo il ritiro dell’Italia dalla guerra. A
queste bande si uniscono molti giovani che cercano di sfuggire
alla leva militare, evasi dai campi di prigionia, soldati slavi
sbandati, in una situazione caotica in cui il fascismo non
è morto e ancora una nuova Italia non c’è. Tutto accade tra il
settembre del 1943 e il giugno del 1944, quando poi i Tedeschi
abbandonano di corsa Acquasanta, dopo una brutale razzia
e dopo aver minato molti ponti e la diga di Scandarello per
rallentare la marcia delle truppe alleate che stavano avanzando
verso Nord. Le bande che si formano sono di diversa ispirazione
ideale, ragion per cui, accanto ai partigiani comunisti, capita
che combattano anche i partigiani cosiddetti “bianchi”, ovvero
di formazione cattolica - popolare. Tra questi ultimi assurge a
maggior gloria un ex soldato del Regio Esercito, il Capitano
Bianco, originariamente distaccato a Teramo con la sua
Compagnia. La storia fu crudele: tra la popolazione civile di Umito
e Pozza, in una lunga serie di scontri e rappresaglie capitati
tra il 10 e l’11 marzo 1944, i caduti furono 13. A questi
vanno aggiunti gli Slavi e i Tedeschi. Parroco di Umito
durante questi fatti di sangue, è il nostro amato Don
Gisberto, per dire le cose strane della vita, che a ventotto
anni, lasciato il breviario e deciso a stare fino in fondo
insieme con la propria umile gente, si fa protagonista della
storia ospitando nella casa canonica il Capitano Bianco, capo
riconosciuto delle operazioni delle squadre partigiane
“bianche”, per il quale raccoglie informazioni presso i
Tedeschi, le trasmette ai partigiani, aiuta e consola,
cura e benedice. Al termine della guerra, insieme con
l’affetto e l’ammirazione della propria gente, avrà, lui
messaggero di pace per vocazione sacerdotale, la “Croce di
guerra” , con questa motivazione: “Patriota D’Angelo Gisberto di
Pietro e fu Capponi Eminadama, nato a Castel di Lama
(Ascoli Piceno) il 15 agosto 1916 residente in Acquasanta
frazione Umito – Parroco. Di accesi sentimenti patriottici
serviva con fede la causa partigiana fornendo al suo Comandante
di Banda preziose notizie sui movimenti nazifascisti impegnati
in rastrellamenti contro i patrioti” – Acquasanta,
dicembre 1943 – giugno 1944-. Ci piace ricordare così Don
Gisberto e raffrontarlo al Don Abbondio di manzoniana memoria:
l’uno che vive l’attimo fuggente e si fa protagonista col
proprio coraggio, anche contro il pensiero
corrente che vorrebbe il sacerdote quale imparziale e
asettico spettatore dei fatti della storia. L’altro che
fugge e si nasconde, quale vaso di coccio tra tanti vasi
di ferro. Riguardiamo il suo ritratto, lo stesso che sta sulla
sua tomba: assomiglia tanto all’uomo mite della porta accanto,
però si coglie che è sveglio e intelligente, già sapendo
che ha vissuto con fierezza la sua vita e ha
affrontato con coraggio le prove che gli ha riservato. Una
bella lezione per tutti, un bel modo di vivere il messaggio
cristiano. E’ doveroso un saluto: giù il cappello, questo
era un Uomo.
Tommaso Cavezzi – Febbraio 2008
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